lunedì 30 agosto 2010

Condominio, la Cassazione scombina i millesimi

Condominio, la Cassazione scombina i millesimi

lunedi 30 Agosto 2010

La sentenza della Cassazione n. 18477 del 9 agosto 2010 stravolge un principio finora ritenuto intoccabile in materia di condominio, che cioè le tabelle millesimali vadano approvate all'unanimità. Da adesso basterà la maggioranza

La Corte di Cassazione (Sezioni Unite Civili) ha pronunciato una sentenza che, in materia di condominio, resterà memorabile.
Come si sa la questione delle tabelle millesimali (l’argomento è stato più volte affrontato anche da Quotidianocasa) è una di quelle che costituiscono il tormento degli amministratori di condominio, stante il fatto che nulla possono fare per cambiarle in mancanza dell’unanimità da parte di tutti gli aventi diritto al voto in assemblea.
Unanimità che adesso viene meno, grazie appunto alla sentenza della Corte che stabilisce che per rivedere le tabelle millesimali è sufficiente la maggioranza.
La sentenza è la n. 18477 e, ci si può giurare, innescherà discussioni a non finire tra favorevoli e contrari.
Se da una parte infatti si pone così fine all’arroganza di chi abusava del proprio presunto diritto per conculcare quello degli altri, adducendo come scusante la mancata unanimità sulle tabelle millesimali, viene però meno un principio finora ritenuto intoccabile nei rapporti di condominio.
Così in ogni caso ha sentenziato la Suprema Corte: «Deve quindi affermarsi che le tabelle millesimali non devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art.1139, secondo comma, cod.civ.»
Vai alla Sentenza n. 18477

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente -
Dott. VITTORIA Paolo – Presidente di sezione -
Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente di sezione -
Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente di sezione -
Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere -
Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere -
Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere -
Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere -
Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.A.M. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata
in ROMA, VIALE DELL’UNIVERSITA’ 27, presso lo studio dell’avvocato
TEDESCHI DARIO, che la rappresenta e difende, per delega in calce al
ricorso;
- ricorrente -
contro
I.E., CONDOMINIO DI (OMISSIS);
- intimati -
e sul ricorso n. 14222/2005 proposto da:
I.E. ((OMISSIS)), elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 26, presso lo studio
dell’avvocato MORELLI MASSIMO, che la rappresenta e difende, per
delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
M.A.M., CONDOMINIO DI (OMISSIS);
- intimati -
avverso la sentenza n. 4372/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 13/10/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
06/07/2010 dal Consigliere Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;
uditi gli avvocati Darlo TEDESCHI, Massimo MORELLI;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI
Domenico, che ha concluso per l’accoglimento dei primo motivo del
ricorso principale; assorbiti gli altri motivi; rigetto del ricorso
incidentale.
Fatto
Con atto di citazione notificato il 2 novembre 1994 I. E. conveniva il condominio di (OMISSIS), di cui faceva parte, davanti al Tribunale di Roma, chiedendo che venisse dichiarata la nullità o annullata la delibera dell’assemblea condominiale in data 30 settembre 1994, con la quale era stata approvata a maggioranza, e non all’unanimità, la nuova tabella per le spese di riscaldamento.
Il condominio si costituiva, resistendo alla domanda, Con sentenza n. 21737/2000 il Tribunale di Roma dichiarava la nullità della delibera in questione.
Contro tale decisione proponeva appello l’altra condomina M. A.M.; la Corte di appello di Roma, con sentenza in data 13 ottobre 2004, confermava la decisione di primo grado, in base alla seguente motivazione:
Deve, preliminarmente, esaminarsi l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dalla I.. Tale eccezione è priva di pregio.
Ed invero, la dichiarazione di nullità della deliberazione in questione incide non solo sulla gestione delle cose comuni, ma anche sul diritto soggettivo dell’appellante all’attribuzione di una quota millesimale corrispondente all’effettiva consistenza della sua proprietà esclusiva usufruente del servizio di riscaldamento.
Nel merito, l’appello non appare fondato e deve essere, pertanto, rigettato proprio per la considerazione suesposta ed in base alla quale esso deve ritenersi ammissibile. Infatti, le tabelle millesimali, comprese quelle relative a servizi dei quali i singoli condomini usufruiscono in maniera diversa quali il riscaldamento lo le scale e gli ascensori, sono pur sempre riferite alle esclusiva proprietà dei singoli partecipanti al condominio e costituiscono il presupposto per la concreta ripartizione della relative spese. Sulla base di tale distinzione deve essere interpretato il combinato disposto dell’art 1138 c.c., commi 1 e 3 nel senso che, mentre il regolamento, riguardante la concreta ripartizione delle spese, può essere approvato dalla maggioranza di cui all’art. 1136 c.c., comma 2, le tabelle, millesimali devono essere approvate all’unanimità.
La circostanza che la precedente tabella millesimale, che non risulta essere stata autonomamente impugnata, è stata approvata con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c., comma 2, non ha alcun rilievo nella presente fattispecie, perchè non legittima l’approvazione di una nuova tabella con una votazione diversa da quella unanime.
Proprio tale influenza impedisce il rilievo di ufficio della nullità della delibera che ha approvato la precedente tabella nella presente controversia che riguarda soltanto la validità della deliberazione impugnata.
Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi, M.A.M..
Resiste con controricorso I.E., che ha anche proposto ricorso incidentale condizionato, con un unico motivo.
Diritto
Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi.
Con il primo motivo M.A.M. si duole del fatto che i giudici di merito abbiano ritenuto che le tabelle millesimali vanno approvate all’unanimità, per cui non sarebbe sufficiente la maggioranza qualificata prevista dall’art. 1136 c.c., comma 2, al quale rinvia l’art. 1128 c.c., comma 3, in tema di approvazione del regolamento di condominio, al quale, in base al disposto dell’art. 68 disp. att. cod. civ., le tabelle millesimali devono essere allegate.
Ritiene il collegio che la doglianza sia fondata.
Per lungo tempo questa S.C. ha ritenuto che per l’approvazione o la revisione delle tabelle millesimali è necessario il consenso di tutti i condomini; ove tale consenso unanime manchi, alla formazione delle tabelle provvede il giudice su istanza degli interessati, in contraddittorio con tutti i condomini (cfr. in tal senso: sent. 5 giugno 2008 n. 14951; 19 ottobre 1988 n. 5686; 17 ottobre 1980 n. 5593; 18 aprile 1978 n. 1846; 8 novembre 1977 n. 4774; 6 marzo 1967 n. 520).
A sostegno di tale sono stati addotti vari argomenti.
Si è affermato che la determinazione dei valori della proprietà di ciascun condomino e la loro espressione in millesimi è regolata direttamente dalla legge, per cui non rientra nella competenza dell’assemblea (sent. 27 dicembre 1958 n. 3952; 9 agosto 1996 n. 7359) oppure si è fatto riferimento alla natura negoziale dell’atto di approvazione delle tabelle millesimali, nel senso che, pur non potendo essere considerato come contratto, non avendo carattere dispositivo (in quanto con esso i condomini, almeno di solito, non intendono in alcun modo modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, ma intendono soltanto determinare quantitativamente tale portata), deve essere inquadrato nella categoria dei negozi di accertamento, con conseguente necessità del consenso di tutti i condomini (sent. 8 luglio 1964 n. 1801) oppure ancora si è fatto leva sul fatto che, essendo le tabelle millesimali predisposte anche al fine del computo della maggioranza dei condomini (quorum) nelle assemblee, hanno carattere pregiudiziale rispetto alla costituzione e alla validità delle deliberazioni assembleari, e quindi non possono formarne oggetto (sent. 6 marzo 1967, cit., per la quale il fatto che le tabelle siano contenute nel regolamento, a norma dell’art. 68 disp. att. c.c., sta semplicemente ad indicare una allegazione formale che non muta la natura intrinseca dell’istituto come innanzi descritta).
Secondo tale orientamento, in conseguenza della inesistenza di una norma la quale attribuisca all’assemblea la competenza a deliberare in tema di tabelle millesimali, la deliberazione di approvazione delle tabelle adottata a maggioranza è inefficace nei confronti del condomino assente o dissenziente per nullità radicale deducibile senza limitazione di tempo (sent. 9 agosto 1996 n. 7359).
La eventuale approvazione a maggioranza di una tabella millesimale non sarebbe, tuttavia, senza effetti.
Si è, in proposito, affermato che le deliberazioni in materia adottate dalla assemblea, sia a maggioranza sia ad unanimità dei soli condomini presenti, configurerebbero una ipotesi di nullità non assoluta, ma soltanto relativa, in quanto non opponibile dai condomini consenzienti, e non obbligherebbero i dissenzienti e gli assenti, i quali potrebbero dedurne la inefficacia secondo i principi generali, senza essere tenuti all’osservanza del termine di decadenza di cui all’art. 1137 c.c. (sent. 6 marzo 1967, cit.; 23 dicembre 1967 n. 3012/6 maggio 1968 n. 1385; 6 marzo 1970 n. 561; 14 dicembre 1974 n. 4274; nel senso che gli assenti ed i dissenzienti potrebbero far valere la nullità relativa dell’atto, ai sensi dell’art. 1421 cod. civ., costituita dalla loro mancata adesione, cfr. sent. 14 dicembre 1999 n. 14037).
La limitata efficacia da attribuire a tabelle millesimali approvate a maggioranza è stata giustificata con la considerazione che la determinazione dei valori viene attuata agli effetti degli art. 1123, 1124, 1126 e 1136 c.c.: essa riguarda, cioè, la ripartizione delle spese e il funzionamento delle assemblee, ma non incide sui diritti reali, e neppure sul valore reale dei beni; dato che, a norma dell’art. 68 cit., u.c., nell’accertamento dei valori in millesimi non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione della cosa, ne consegue che la formazione o la modificazione dei valori millesimali non può che dar luogo a un rapporto di natura personale, le cui diverse determinazioni ben possono avere efficacia limitatamente ai condomini che le posero in essere, senza che, al riguardo, debba dunque parlarsi di nullità assoluta (6 marzo 1967, cit.).
Si è anche ritenuto (sent. 6 marzo 1967, cit.) che la impugnazione non è consentita neppure al successore a titolo particolare nella proprietà dell’appartamento del condomino che ha dato il suo consenso alla approvazione a maggioranza delle tabelle millesimali:
posto, infatti, che gli obblighi dei condomini, relativi ai beni compresi nel condominio, come quello della partecipazione alle spese comuni, o del rispetto della maggioranza assembleare, rappresentano, nell’ambito del particolare istituto, vincoli di natura personale previsti dalla legge (e non dalla volontà delle parti) in diretta dipendenza del diritto reale, essi si trasferiscono automaticamente, anche per atto tra vivi, con il trasferimento di quel diritto, e indipendentemente dalle limitazioni che derivano dalla pubblicità per esso prevista, alla stregua di quanto avviene, a causa del loro carattere ambulatorio, per le obbligazioni propter rem o rei cohaerentes, non potrebbe negarsi che anche le determinazioni necessariamente connesse con quegli obblighi si trasferiscano contemporaneamente con essi nel successore a titolo particolare, in forza del principio per il quale l’oggetto del trasferimento perviene all’acquirente nella stessa misura e con le stesse facoltà con cui esso appartenne al precedente titolare (nemo plus iuris quam ipse habet transferre potest). Tale conclusione troverebbe conferma nella considerazione che la stessa osservanza dei valori millesimali costituisce una obbligazione ex leqe, sì che, rappresentando i valori medesimi la valutazione proporzionale della parte rispetto al tutto, ed avendo funzione strumentale al fine precipuo della ripartizione delle spese comuni e della formazione del quorum della maggioranza assembleare, essi vengono, in sostanza, a realizzare la quantificazione e la determinazione concreta di quell’obbligo, con la conseguenza che, con il trasferimento di esso nel successore a titolo particolare, si trasferisce la determinazione concreta dei valori fatta in sede assembleare con il consenso del dante causa, in forza dei principi sopra enunciati.
Secondo altre decisioni la deliberazione assunta a maggioranza sarebbe affetta da nullità assoluta (e quindi inefficace anche per coloro che hanno votato a favore) ove non sia stata assunta con la maggioranza degli intervenuti che rappresentino anche la metà del valore dell’edificio, mentre sarebbe affetta da nullità relativa derivante dalla loro mancata adesione solo nei confronti degli assenti e dissenzienti ove assunta con la maggioranza in questione (sent. 24 novembre 1983 n. 7040; 9 febbraio 1985 n. 1057).
E’ stata anche prospettata la semplice inefficacia della delibera di approvazione non all’unanimità dei condomini, da ritenere condizionata al raggiungimento in epoca successiva del consenso unanime verificatosi in virtù dell’applicazione di fatto delle tabelle da parte dei condomini assenti (sent. 17 ottobre 1980 n. 5593).
E’ comunque costante l’affermazione che nel comportamento dei condomini assenti i quali abbiano pagato i contributi condominiali secondo la tabelle approvate a maggioranza è possibile individuare una accettazione delle tabelle stesse, non vertendosi in tema di effetti reali, per cui il consenso alla approvazione delle tabelle, non postulando il requisito di particolari requisiti formali, può ben manifestarsi per facta concludentia (sent. 8 novembre 1977 n. 4774; 19 ottobre 1988 n. 5686).
Principi analoghi sono stati affermati con riferimento alla modifica delle tabelle millesimali.
Si è, pertanto, ritenuto che la partecipazione con il voto favorevole alle reiterate delibere adottate dall’assemblea dei condomini di un edificio per ripartire le spese straordinarie secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello espresso nelle tabelle millesimali, o l’acquiescenza rappresentata dalla concreta applicazione delle stesse tabelle per più anni (sent.
16 luglio 1991 n. 7884; 19 ottobre 1988 n. 5686), può assumere il valore di univoco comportamento rivelatore della volontà di parziale modifica delle tabelle millesimali da parte dei condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e può dare luogo, quindi, ad una convenzione modificatrice della disciplina sulla ripartizione delle spese condominiali, che, avendo natura contrattuale e non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta, ma solo il consenso anche tacito o per facta concludentia, purchè inequivoco di tutti i condomini (sent. 17 maggio 1994 n. 4814).
Il consenso non potrebbe, invece, dedursi dal comportamento tenuto da quei condomini che nella assemblea abbiano già espresso dissenso dalla approvazione delle tabelle millesimali, in quanto, in presenza della loro esplicita volontà, non è lecito ricercare una contraria volontà tacita o presunta che sulla prima dovrebbe prevalere (sent.
9 febbraio 1985 n. 1057; nel senso che i condomini, partecipando alle assemblee per tre anni ed effettuando i pagamenti in conformità delle nuove tabelle, non manifestano per facta concludentia quel consenso che avevano espressamente negato in occasione della relativa delibera condominiale cfr. sent. 28 aprile 2005 n. 8863) o dal comportamento degli acquirenti (sent. 9 agosto 1996 n. 7359).
Si distacca implicitamente, ma immotivatamente, da tale orientamento la sentenza 11 febbraio 2000 n. 1520, secondo la cui “massima” la modifica delle tabelle millesimali già esistenti, ovvero la creazione di tali tabelle, costituisce facoltà riservata all’assemblea dei condomini, e non rientra i compiti dell’amministratore di condominio.
Rileva il collegio che gli argomenti addotti per sostenere la tesi della incompetenza della assemblea in ordine alla approvazione delle tabelle millesimali non sembrano convincenti.
In ordine all’argomento secondo il quale la determinazione dei valori della proprietà di ciascun condomino e la loro espressione in millesimi è regolata direttamente dalla legge, per cui non rientra nella competenza dell’assemblea, si può obiettare che: a) la legge non regola le concrete modalità di determinazione dei millesimi, ma si limita a stabilire che essi debbono essere espressione del valore di ogni piano o porzione di piano, escludendo l’incidenza di determinati fattori (art. 68 disp. att. c.c.); b) se la determinazione dei valori delle singole unità immobiliari e la loro espressione in millesimi fosse effettivamente regolata dalla legge, nel senso di escludere ogni margine di discrezionalità, non si comprenderebbe per quale motivo le tabelle millesimali dovrebbero essere necessariamente approvate all’unanimità o formate in un giudizio da svolgere nel contraddittorio di tutti i condomini, potendo, in teoria, addirittura provvedere l’amministratore.
La affermazione che la necessità della unanimità dei consensi dipenderebbe dal fatto che la deliberazione di approvazione delle tabelle millesimali costituirebbe un negozio di accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari e sulle parti comuni è in contrasto con quanto ad altri fini sostenuto nella giurisprudenza di questa S.C. e cioè che la tabella millesimale serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore tra i diritti dei vari condomini, senza incidere in alcun modo su tali diritti (sent. 25 gennaio 1990 n. 431; 20 gennaio 1977 n. 298; 3 gennaio 1977 n. 1; nel senso che non è richiesta la forma scritta per la rappresentanza di un condomino nell’assemblea nel caso in cui questa abbia per oggetto la approvazione delle tabelle millesimali, in quanto tale approvazione, quale atto di mera natura valutativa del patrimonio ai limitati effetti della distruzione del carico delle spese condominiali, nonchè della misura del diritto di partecipazione alla formazione della volontà assembleare del condominio, non è idonea a incidere sulla consistenza dei diritti reali a ciascuno spettanti, cfr. sent.
28 giugno 1979 n. 3634).
Quando, poi, i condomini approvano la tabella che ha determinato il valore dei piani o delle porzioni di piano secondo i criteri stabiliti dalla legge non fanno altro che riconoscere l’esattezza delle operazioni di calcolo della proporzione tra il valore della quota e quello del fabbricato; in sintesi, la misura delle quote risulta determinata in forza di una precisa disposizione di legge.
L’approvazione del risultato di una operazione tecnica non importa la risoluzione o la preventiva eliminazione di controversie, di discussioni o di dubbi: il valore di una cosa è quello che è e il suo accertamento non implica alcuna operazione volitiva, ragion per cui il semplice riconoscimento che le operazioni sono state compiute in conformità al precetto legislativo non può qualificarsi attività negoziale.
Il fine dei condomini, quando approvano il calcolo delle quote, non è quello di rimuovere l’incertezza sulla proporzione del concorso nella gestione del condominio e nelle spese: incertezza che non esiste perchè il rapporto non può formare oggetto di discussione, dovendo essere determinato sulla base di precise disposizioni; il fine dei condomini è solo di quello di prendere atto della traduzione in frazioni millesimali di un rapporto di valori preesistente e per conseguire questo scopo non occorre un negozio il cui schema contempla come intento tipico l’eliminazione dell’incertezza mediante accertamento e declaratoria della situazione preesistente.
In definitiva, la deliberazione che approva le tabelle milliesimali non si pone come fonte diretta dell’obbligo contributivo del condomino, che è nella legge prevista, ma solo come parametro di quantificazione dell’obbligo, determinato in base ad un valutazione tecnica; caratteristica propria del negozio giuridico è la conformazione della realtà oggettiva alla volontà delle parti:
l’atto di approvazione della tabella, invece, fa capo ad una documentazione ricognitiva di tale realtà, donde il difetto di note negoziali.
Se si considera che in base all’art. 68 disp. att. c.c. le tabelle servono agli effetti di cui agli artt. 1123, 1124, 1126 e 1136 c.c., cioè ai fini della ripartizione delle spese e del computo dei quorum costitutivi e deliberativi in sede di assemblea, si avverte subito la difficoltà di supporre che una determinazione ad opera dell’assemblea possa incidere sul diritto di proprietà del singolo condomino. Una determinazione che non rispecchiasse il valore effettivo di un piano o di una porzione di piano rispetto all’intero edificio potrebbe risultare pregiudizievole per il condomino, nel senso che potrebbe costringerlo a pagare spese condominiali in misura non proporzionata al valore della parte di immobile di proprietà esclusiva, ma non inciderebbe sul diritto di proprietà come tale, ma piuttosto sulle obbligazioni che gravano a carico del condomino in funzione di tale diritto di proprietà, a cui si può porre riparo mediante la revisione della tabella ex art. 69 disp. att. c.c..
Un negozio di accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari e sulle parti comuni, poi, dovrebbe risultare per iscritto; non sembra possibile, pertanto, sostenere che il consenso dei condomini che non hanno partecipato alla delibera di approvazione delle tabelle millesimali potrebbe essere validamente manifestato per facta concludentia dal comportamento dagli stessi tenuto successivamente alla delibera stessa, a prescindere dal fatto che è difficile attribuire un valore negoziale alla manifestazione di volontà dei condomini diretta alla approvazione della delibera (cioè di assunzione di un impegno nei confronti di coloro che hanno votato nello stesso modo e di proposta contrattuale nei confronti degli altri condomini) sia al comportamento degli altri condomini successivo alla delibera (cioè di accettazione di una proposta).
Anche la affermazione secondo la quale le tabelle millesimali, essendo predisposte anche al fine del computo delle maggioranze nelle assemblee, hanno carattere pregiudiziale rispetto alla costituzione ed alla validità delle deliberazioni assembleari e non possono quindi formarne oggetto, sembra in contrasto con la giurisprudenza secondo la quale un criterio di identificazione delle quote di partecipazione condominiale, dato dal rapporto tra il valore delle proprietà singole ed il valore dell’intero edificio, preesiste alla formazione delle tabelle millesimali e consente di valutare (ove occorre a posteriori ed in giudizio) se i quorum di costituzione dell’assemblea e di deliberazione sono stati raggiunti, per cui le tabelle agevolano, ma non condizionano addirittura lo svolgimento delle assemblee ed in genere la gestione del condominio (cfr., in tal senso, da ultimo: sent. 25 gennaio 1990, cit.; 20 gennaio 1977, cit.;
3 gennaio 1977, cit.).
In ordine alla affermazione che la deliberazione con la quale l’assemblea dovesse approvare non all’unanimità le tabelle millesimali sarebbe affetta da nullità assoluta (e quindi inefficace anche per coloro che hanno votato a favore) ove non assunta con la maggioranza degli intervenuti che rappresentino anche la metà del valore dell’edifico, mentre sarebbe affetta da nullità relativa solo nei confronti degli assenti e dissenzienti, ove assunta con la maggioranza in questione, è agevole osservare che presuppone una distinzione tra nullità relativa e nullità assoluta di cui non vi traccia nella legge ed è affetta da una intima contraddizione, in quanto se si parte dalla premessa che l’assemblea non ha il potere di deliberare a maggioranza, non si riesce a comprendere come, a seconda della maggioranza raggiunta, il vizio sarebbe di maggiore o minore gravità.
Da un punto di vista pratico la tesi della natura negoziale dell’atto di approvazione delle tabelle millesimali presenta, poi, degli inconvenienti.
Non va, infatti, dimenticato che i contratti vincolano solo le parti ed i loro successori a titolo universale. Il considerare una tabella millesimale vincolante per i condomini solo in virtù del consenso dagli stessi, espressamente o tacitamente manifestato, comporterebbe la inefficacia della tabella stessa nei confronti di eventuali aventi causa a titolo particolare dai condomini, con la conseguenza che ad ogni alienazione di una unità immobiliare dovrebbe far seguito un nuovo atto di approvazione o un nuovo giudizio avente ad oggetto la formazione della tabella.
Una volta chiarito che a favore della tesi della natura negoziale dell’atto di approvazione delle tabelle millesimali non viene addotto alcun argomento convincente, se si tiene presente che tali tabelle, in base all’art. 68 disp. att. c.c., sono allegate al regolamento di condominio, il quale, in base all’art. 1138 c.c., viene approvato dall’assemblea a maggioranza, e che esse non accertano il diritto dei singoli condomini sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva, ma soltanto il valore di tali unità rispetto all’intero edificio, ai soli fini della gestione del condominio, dovrebbe essere logico concludere che tali tabelle vanno approvate con la stessa maggioranza richiesta per il regolamento di condominio.
In senso contrario non sembra si possa sostenere (sent. 6 marzo 1967, cit.) che la allegazione delle tabelle al regolamento è puramente formale, ma non significa anche identità di disciplina in ordine alla approvazione.
In linea di principio, infatti, un atto allegato ad un altro, con il quale viene contestualmente formato, deve ritenersi sottoposto alla stessa disciplina, a meno che il contrario risulti espressamente.
Va, infine, rilevato che la approvazione a maggioranza delle tabelle millesimali non comporta inconvenienti di rilievo nei confronti dei condomini, in quanto nel caso di errori nella valutazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, coloro i quali si sentono danneggiati possono chiedere, senza limiti di tempo, la revisione ex art. 69 disp. att. c.c..
Negli ultimi tempi si è affermato un orientamento il quale si distingue inconsapevolmente da quello “tradizionale” e secondo il quale in tema di condominio degli edifici, le tabelle millesimali allegate al regolamento condominiale, qualora abbiano natura convenzionale – in quanto predisposte dall’unico originario proprietario ed accettate dagli iniziali acquirenti delle singole unità ovvero abbiano formato oggetto di accordo da parte di tutti condomini – possono, nell’ambito dell’autonomia privata, fissare criteri di ripartizione delle spese comuni anche diversi da quelli stabiliti dalla legge ed essere modificate con il consenso unanime dei condomini o per atto dell’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c.; ove, invece, abbiano natura non convenzionale ma deliberativa perchè approvate con deliberazione dell’assemblea condominiale – le tabelle millesimali, che devono necessariamente contenere criteri di ripartizione delle spese conformi a quelli legali e a tali criteri devono uniformarsi nei casi di revisione, possono essere modificate dall’assemblea con la maggioranza stabilita dall’art. 1136 c.c., comma 2 (in relazione all’art. 1138 c.c., comma 3) ovvero con atto dell’autorità giudiziaria ex art. 69 disp. att. citato. Ne consegue che, mentre è affetta da nullità la delibera che modifichi le tabelle millesimali convenzionali adottata dall’assemblea senza il consenso unanime dei condomini o se non siano stati convocati tutti i condomini, è valida la delibera modificativa della tabella millesimale di natura non convenzionale adottata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136 c.c., comma 2 (sent. 28 giugno 2004 n. 11960; in senso conforme cfr.: sent. 23 febbraio 2007 n. 4219/25 agosto 2005 n. 17276; sembra operare un sintesi tra il nuovo ed il precedente orientamento la sentenza 28 aprile 2005 n. 8863, per la quale l’adozione di nuove tabelle millesimali a modifica di quelle allegate a regolamento contrattuale deve essere deliberata con il consenso di tutti i condomini e, in presenza di espresso dissenso, non può ritenersi prevalere una volontà diversa, tacita o presunta, essendo quest’ultima di per sè intrinsecamente equivoca; non è ben chiaro il pensiero della sentenza 22 novembre 2000 n. 15094, la cui “massima” afferma che la divergenza tra i valori, reali dei piani o delle porzioni di piano, rapportati al medesimo, e le tabelle millesimali derivata da innovazioni e ristrutturazioni successive all’atto che le approva giustifica la revisione delle stesse ad opera dell’assemblea condominiale, dei condomini per contratto, ovvero dell’autorità giudiziaria).
Tale nuovo orientamento, il quale è stato espressamente disatteso dalla sentenza 26 marzo 2010 n. 7300 però, non chiarisce, in primo luogo, come possano esservi tabelle millesimali approvate con deliberazione dell’assemblea condominiale, se la precedente giurisprudenza aveva escluso una competenza dell’assemblea in merito, e, in secondo luogo, sembra porsi in contrasto la precedente giurisprudenza in tema di c.d. regolamento condominiale di origine “contrattuale”; tale giurisprudenza, infatti, aveva chiarito che occorre distinguere tra disposizioni tipicamente regolamentari e disposizioni contrattuali e che solo per le seconde è necessario, ai fini della loro modifica, l’accordo di tutti i partecipanti, mentre le prime sono modificabili con le maggioranze previste dalla legge, precisando ulteriormente che: a) sulla diversa natura dei due gruppi di disposizioni e sul diverso loro regime di modificabilità non può incidere la loro comune inclusione nel regolamento (sent. 14 novembre 1991 n. 12173); b) hanno natura contrattuale solo le clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetti ad altri (sent. 30 dicembre 1999 n. 943); sulla base di tali premesse non sembra, in linea di principio, non sembra poter riconoscere natura contrattuale alle tabelle millesimali per il solo fatto che, ai sensi dell’art. 68 disp. att. cod. civ., siano allegate ad un regolamento di origine c.d. “contrattuale”, ove non risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, si sia inteso, cioè,approvare quella “diversa convenzione” di cui all’art. 1123 c.c., comma 1, (in senso conforme cfr. implicitamente la sentenza 2 giugno 1999 n. 5399, la quale, con riferimento ad una ipotesi in cui le tabelle allegate al c.d. regolamento contrattuale non avevano rispettato il principio della proporzionalità di cui all’art. 68 disp. att. cod. civ., ha affermato che le tabelle millesimali allegate a regolamento contrattuale non possono essere modificate se non con il consenso unanime di tutti i condomini o per atto dell’autorità giudiziaria).
Alla luce di quanto esposto deve, quindi, affermarsi che le tabelle millesimali non devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1139 c.c., comma 2, con conseguente fondatezza del primo motivo ricorso principale ed assorbimento degli altri motivi dello stesso ricorso.
Occorre conseguentemente procedere all’esame dell’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, con il quale si deduce testualmente: La eccezione che nel caso di specie si tratta di una tabella approvata a maggioranza, è stato dedotto e provato dalla M. solo in grado di appello, incorrendo così nel divieto di allegare nuove prove in secondo grado.
Il motivo è infondato, in base alla decisiva considerazione che tutto il giudizio si è svolto sul presupposto pacifico che esso aveva ad oggetto la impugnazione di una deliberazione che aveva approvato a maggioranza e non all’unanimità le tabelle millesimali per le spese di riscaldamento.
In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso principale, con assorbimento degli altri motivi dello stesso ricorso e va rigettato il ricorso incidentale.
In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
In considerazione della particolarità e complessità della questione, ritiene il collegio di compensare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
LA CORTE riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo del ricorso principale, con assorbimento degli altri motivi dello stesso ricorso; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma; compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 6 luglio 2010.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2010

mercoledì 23 giugno 2010

Condomini. Vanno meglio difesi da reati


furto.jpgMaggiore attenzione e interventi mirati per difendere gli immobili da reati penali come furti e danneggiamenti. A chiederlo e' l'Associazione Nazional-europea degli amministratori d'immobili (Anammi) che, sul tema, ha interrogato i suoi iscritti. Rilevando che la maggioranza dei soci (61%), ha sperimentato direttamente le conseguenze di episodi a sfondo penale, avvenuti nei condomini amministrati.
'Il problema non e' nuovo - afferma Giuseppe Bica, presidente dell'Associazione - ma, anche a causa delle numerose mansioni che oggi sono chiamati a svolgere in condominio, gli amministratori si sentono molto piu' coinvolti'. Piu' in dettaglio, il reato piu' frequente in condominio e' il furto (47%). Al secondo posto, gli amministratori segnalano le scritte sui muri (25%), seguite dai danni all'immobile (19%), aggressioni (5%) e rapine (4%). Non a caso, il 76% degli intervistati si e' preoccupato di rafforzare la sicurezza della struttura condominiale.

I sistemi adottati dipendono esclusivamente da due fattori: i costi di realizzazione e l'accordo dei condomini. E' infatti l'assemblea condominiale a decidere quale linea adottare contro ladri e graffitari. Secondo i dati dell'Associazione, il 37% dei condomini decide di rendere piu' sicure l'entrata e gli spazi a rischio (finestre, uscite secondarie). Identica percentuale per il miglioramento dell'illuminazione notturna, spesso adottato intervenendo anche sull'ingresso. La polizza assicurativa piace invece all'11% degli amministratori, a pari merito con la videosorveglianza. 'Le telecamere comportano burocrazia da espletare e, soprattutto, problemi di privacy, che il legislatore non e' riuscito del tutto a risolvere', precisa il leader dell'Anammi. Per i forti costi, la guardia e' scelta soltanto dal 4% degli amministratori.
'In molti tra i nostri iscritti ci segnalano che i primi colpevoli della situazione sono proprio i condomini - afferma il presidente Bica - decisamente distratti quando si tratta di chiudere cancelli e portoni d'ingresso o di aprire a perfetti sconosciuti. La prima difesa contro topi d'appartamento e vandali e' l'accortezza'. Il che non esclude, pero', un forte elemento di ordine di pubblico alla base del fenomeno. In tal senso, il 46% degli iscritti all'Anammi propone alle istituzioni di istituire appositi incentivi sugli interventi di sicurezza in condominio, senza trascurare, al tempo stesso, misure penali piu' rigorose, suggerite dal 29% degli amministratori, oltre a controlli piu' severi (25%).
'Purtroppo - osserva il presidente dell'Anammi - si dimentica che un vetro rotto o una scritta sul muro chiamano, quasi per magia, altri reati. Per questo motivo, chiediamo maggiore sensibilita' al problema da parte delle istituzioni, sia locali che nazionali'. Infine, il 16% degli amministratori ammette di essere stato oggetto di minacce e di lettere anonime.
Tuttavia, di questi, soltanto il 10% rinuncia all'incarico, a fronte del 46% che denuncia l'accaduto e del 44% che, invece, sceglie di ignorare l'episodio.

mercoledì 26 maggio 2010

Cambia la maggioranza per le delibere assembleari in tema di contenimento del consumo energetico

Le finalità della Legge 10/1991
Al fine di migliorare i processi di trasformazione dell'energia, di ridurre i consumi di energia e di migliorare le condizioni di compatibilità ambientale dell'utilizzo dell'energia a parità di servizio reso e di qualità della vita, la Legge 9 gennaio 1991 n 10 favorisce ed incentiva, in accordo con la politica energetica della Comunità Economica Europea, l'uso razionale dell'energia, il contenimento dei consumi di energia nella produzione e nell'utilizzo di manufatti, l'utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia, la riduzione dei consumi specifici di energia nei processi produttivi, una più rapida sostituzione degli impianti in particolare nei settori a più elevata intensità energetica, anche attraverso il coordinamento tra le fasi di ricerca applicata, di sviluppo dimostrativo e di produzione industriale. La politica di uso razionale dell'energia e di uso razionale delle materie prime energetiche definisce un complesso di azioni organiche dirette alla promozione del risparmio energetico, all'uso appropriato delle fonti di energia, anche convenzionali, al miglioramento dei processi tecnologici che utilizzano o trasformano energia, allo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, alla sostituzione delle materie prime energetiche di importazione.

La formulazione dell'articolo 26 comma 2 nel 1991
Per il perseguimento dei fini indicati nella Legge, l'articolo 26 comma 2, prevedeva, per le deliberazioni condominiali, una maggioranza agevolata: “Per gli interventi in parti comuni di edifici, volti al contenimento del consumo energetico degli edifici stessi ed all'utilizzazione delle fonti di energia di cui all'art. 1, ivi compresi quelli di cui all'art. 8, sono valide le relative decisioni prese a maggioranza delle quote millesimali”.

Non era la prima volta che il Legislatore individuava maggioranze speciali in deroga a quelle previste dal codice civile:
1) Legge 5 agosto 1978, n. 457, articolo 30 comma 2 (Norme per l'edilizia residenziale): per i piani di recupero di iniziativa dei privati sono valide le delibere assunte con la maggioranza dei condomini che comunque rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio.
2) Legge 9 gennaio 1989, n. 13, articolo 2 comma 1 (Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati): sono valide le delibere assunte, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall'articolo 1136, secondo e terzo comma, del codice civile.
3) Legge 24 marzo 1989, n. 122, articolo 9 (Disposizioni in materia di parcheggi): sono valide le delibere assunte, in prima o in seconda convocazione, con la maggioranza prevista dall'articolo 1136, secondo comma, del codice civile. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, del codice civile.
4) Legge 9 gennaio 1991 n 10, articolo 26 comma 5: Per le innovazioni relative all'adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato, l'assemblea di condominio decide a maggioranza, in deroga agli articoli 1120 e 1136 del codice civile.
5) Decreto Legge 23 gennaio 2001, n. 5 convertito, con modificazioni, in L. 20 marzo 2001, n. 66, articolo 2-bis comma 13 (Trasmissioni radiotelevisive digitali su frequenze terrestri. Sistemi audiovisivi terrestri a larga banda - antenne paraboliche): al fine di favorire lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie di radiodiffusione da satellite, le opere di installazione di nuovi impianti sono innovazioni necessarie ai sensi dell'articolo 1120, primo comma, del codice civile. Per l'approvazione delle relative deliberazioni si applica l'articolo 1136, terzo comma, dello stesso codice.
6) Legge 18 giugno 2009, n. 69, articolo 1 comma 7 (Passaggio di cavi in fibra ottica): le disposizioni dell'articolo 2-bis, comma 13, del decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 2001, n. 66, si applicano anche alle innovazioni condominiali relative ai lavori di ammodernamento necessari al passaggio dei cavi in fibra ottica.
A differenza delle maggioranze speciali contenute nelle norme appena richiamate, il legislatore del 1991 e del 2006, in riferimento all'articolo 26 comma 2 della Legge 10/91, fece unicamente riferimento alle quote millesimali e non anche alla maggioranza riferita al numero dei condomini, in deroga al principio del doppio quorum (teste e millesimi).

Ai sensi del richiamato articolo 1 della medesima Legge (nella formulazione originaria), sono considerate fonti di energia, aventi carattere di pubblico interesse e di pubblica utilità:
- fonti rinnovabili di energia o assimilate: il sole, il vento, l'energia idraulica, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici o di prodotti vegetali; - fonti di energia assimilate alle fonti rinnovabili di energia: la cogenerazione, intesa come produzione combinata di energia elettrica o meccanica e di calore, il calore recuperabile nei fumi di scarico e da impianti termici, da impianti elettrici e da processi industriali, nonchè le altre forme di energia recuperabile in processi, in impianti e in prodotti ivi compresi i risparmi di energia conseguibili nella climatizzazione e nell'illuminazione degli edifici con interventi sull'involucro edilizio e sugli impianti.

Gli interventi di cui al richiamato articolo 8 della medesima Legge sono i seguenti:
a) coibentazione negli edifici esistenti che consenta un risparmio di energia non inferiore al 20 per cento ed effettuata secondo le regole tecniche di cui all'allegata tabella A;
b) installazione di nuovi generatori di calore ad alto rendimento, che in condizioni di regime presentino un rendimento, misurato con metodo diretto, non inferiore al 90 per cento, sia negli edifici di nuova costruzione sia in quelli esistenti;
c) installazione di pompe di calore per riscaldamento ambiente o acqua sanitaria o di impianti per l'utilizzo di fonti rinnovabili di energia che consentano la copertura almeno del 30 per cento del fabbisogno termico dell'impianto in cui è attuato l'intervento nell'ambito delle disposizioni del titolo II;
d) installazione di apparecchiature per la produzione combinata di energia elettrica e di calore;
e) installazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica; per tali interventi il contributo può essere elevato fino all'80 per cento;
f) installazione di sistemi di controllo integrati e di contabilizzazione differenziata dei consumi di calore nonchè di calore e acqua sanitaria di ogni singola unità immobiliare, di sistemi telematici per il controllo e la conduzione degli impianti di climatizzazione nonchè trasformazione di impianti centralizzati o autonomi per conseguire gli obiettivi di cui all'art. 1;
g) trasformazione di impianti centralizzati di riscaldamento in impianti unifamiliari a gas per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria dotati di sistema automatico di regolazione della temperatura, inseriti in edifici composti da più unità immobiliari, con determinazione dei consumi per le singole unità immobiliari, escluse quelle situate nelle aree individuate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi dell'art. 6 ove siano presenti reti di teleriscaldamento;
h) installazione di sistemi di illuminazione ad alto rendimento anche nelle aree esterne.

Dell'articolo 8 sopra riportato, si richiama l'attenzione sulla lettera “g”, a mezzo della quale la Legge 10/91 voleva incentivare la trasformazione di impianti di riscaldamento centralizzato in impianti unifamiliari.

In riferimento alle maggioranze per l 'approvazione delle opere, si era formato l'orientamento secondo il quale la delibera era validamente assunta con la maggioranza delle quote millesimali (501/1000).

Per quanto attiene invece all'esecuzione di tutto quanto indicato nell'articolo 26, ai sensi dell'articolo 28 comma 1, la stessa Legge prevedeva necessariamente un progetto delle opere stesse corredate da una relazione tecnica, sottoscritta dal progettista che ne attestasse la rispondenza alle prescrizioni di legge. Si profilò il dubbio interpretativo se la delibera, ai fini della sua validità, dovesse essere accompagnata dal citato progetto corredato dalla relazione tecnica.
Sul punto, la Cassazione, pressochè unanime, ritenne che la delibera condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari, è valida anche se non accompagnata dal progetto delle opere corredato dalla relazione tecnica di conformità di cui all'art. 28, comma 1, attenendo tale progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera. Le suddette norme, nell'ambito delle operazioni di trasformazione degli impianti di riscaldamento destinate al risparmio di energia, distinguono infatti una fase deliberativa "interna" (attinente ai rapporti tra i condomini, disciplinati in deroga al disposto dell'art. 1120 c.c.) da una fase esecutiva "esterna" (relativa ai successivi provvedimenti di competenza della p.a.), e solo per quest'ultima impongono gli adempimenti in argomento (Cass. civ. sez. II, 20 febbraio 2009, n. 4216, Cass. civ. sez. II, 11 maggio 2006, n. 10871, Cass. civ. sez. II, 18 agosto 2005, n. 16980, Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2002, n. 1166, Cass. civ. sez. II, 25 maggio 2001, n. 7130, Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1999, n. 5117). Era invece illegittima la deliberazione dell'assemblea del condominio di un edificio adottata a maggioranza delle quote millesimali (anzichè con il consenso unanime di tutti i condomini richiesto dall'art. 1120, comma 2, c.c.) con la quale si prevedeva la trasformazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato in impianti unifamiliari e si autorizzava ogni condomino a provvedere autonomamente ad installare l'impianto che ritiene più opportuno, senza alcun riferimento al rispetto delle prescrizioni della l. n. 10 del 1991 per la riduzione dei consumi energetici (Cassazione civile, Sezione II, 26 maggio 1999, n. 5117)

La formulazione dell'articolo 26 comma 2 nel 2006
Successivamente, nel 2006, il Legislatore, con il Decreto Legislativo 311 del 29 dicembre (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, recante attuazione della direttiva 2002/91/CE, relativa al rendimento energetico nell'edilizia), all'articolo 7 aggiungeva il comma 1 bis all'articolo 16 del Decreto Legislativo 19 agosto 2005 n 192 (Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia). Tale articolo andava a modificare l'articolo 26 comma 2 della Legge 10/1991 il quale così risultava: “Per gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento del consumo energetico ed all'utilizzazione delle fonti di energia di cui all'articolo 1, individuati attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali sono valide se adottate con la maggioranza semplice delle quote millesimali”.
Per comodità di lettura, qui di seguito vengono messe a raffronto le due formulazioni della norma:
Articolo 26 comma 2 (1991) Articolo 26 comma 2 (2006)
Per gli interventi in parti comuni di edifici, volti al contenimento del consumo energetico degli edifici stessi ed all'utilizzazione delle fonti di energia di cui all'art. 1, ivi compresi quelli di cui all'art. 8, sono valide le relative decisioni prese a maggioranza delle quote millesimali Per gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento del consumo energetico ed all'utilizzazione delle fonti di energia di cui all'articolo 1, individuati attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali sono valide se adottate con la maggioranza semplice delle quote millesimali.
Per completezza, è il caso di precisare che, pochi mesi dopo, l'art. 1, comma 1120 della L. 27 dicembre 2006, n. 296 (in vigore dal 2007) andava a modificare l'articolo 1 comma 3 della Legge 10/91 cui l'art. 26 comma 2 rinvia:
Articolo 1 comma 3 (1991) Articolo 1 comma 3 (2007)
Ai fini della presente legge sono considerate fonti rinnovabili di energia o assimilate: il sole, il vento, l'energia idraulica, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici o di prodotti vegetali. Sono considerate altresì fonti di energia assimilate alle fonti rinnovabili di energia: la cogenerazione, intesa come produzione combinata di energia elettrica o meccanica e di calore, il calore recuperabile nei fumi di scarico e da impianti termici, da impianti elettrici e da processi industriali, nonchè le altre forme di energia recuperabile in processi, in impianti e in prodotti ivi compresi i risparmi di energia conseguibili nella climatizzazione e nell'illuminazione degli edifici con interventi sull'involucro edilizio e sugli impianti. Per i rifiuti organici ed inorganici resta ferma la vigente disciplina ed in particolare la normativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915 e successive modificazioni ed integrazioni, al decreto-legge 31 agosto 1987, n. 361, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 441, e al decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475. Ai fini della presente legge sono considerate fonti rinnovabili di energia: il sole, il vento, l'energia idraulica, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione dei rifiuti organici o di prodotti vegetali. Per i rifiuti organici ed inorganici resta ferma la vigente disciplina ed in particolare la normativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915 , e successive modificazioni ed integrazioni, al decreto-legge 31 agosto 1987, n. 361 , convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 441, e al decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397 , convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475.

Tornando all'articolo 26 comma 2, appaiono subito evidenti tre importanti modifiche apportate:
1) non vi è più alcun riferimento agli interventi indicati nell'articolo 8 (tra i quali, si ricorda, la trasformazione di impianti di riscaldamento centralizzato in impianti unifamiliari a gas per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria)
2) gli interventi sugli edifici e sugli impianti devono essere individuati attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato; tale documento deve esistere già al momento della deliberazione (a differenza del progetto nella formulazione originale che, come si è visto, poteva essere redatto in un momento successivo). Questo requisito è a pena di invalidità della delibera stessa (Triola, Il condominio, Giuffrè Editore, 2007, pagina 228)
3) cambia la formulazione riferita alle decisioni condominiali e, dopo la parola “maggioranza” viene aggiunto l'aggettivo “semplice”, mentre resta invariato il riferimento alle sole quote millesimali.

La nuova formulazione dell'articolo 26 comma 2 (maggioranza ”semplice” delle quote millesimali) aprì tra gli studiosi del diritto un ampio dibattito in merito all'interpretazione della norma così modificata a seguito dell'aggiunta dell'aggettivo “semplice”. La giurisprudenza non aveva avuto ancora modo di pronunciarsi e vi era la più grande incertezza.

La formulazione dell'articolo 26 comma 2 nel 2009
In questo contesto, il Parlamento ha definitivamente approvato il progetto di legge 1195-B (Senato) il quale, all'articolo 27, comma 22 cosi' recita: “Al comma 2 dell'articolo 26 della legge 9 gennaio 1991, n.10, come sostituito dall'articolo 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2006, n. 311, dopo le parole: «maggioranza semplice delle quote millesimali» sono aggiunte le seguenti: «rappresentate dagli intervenuti in assemblea»”.
A seguito della modifica introdotta, l'articolo 26 comma 2 ora recita: "Per gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento del consumo energetico ed all'utilizzazione delle fonti di energia di cui all'articolo 1, individuati attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali sono valide se adottate con la maggioranza semplice delle quote millesimali rappresentate dagli intervenuti in assemblea".

La legge è ad oggi in attesa della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Il legislatore ha così lasciato invariato il riferimento alle sole quote millesimali in deroga al generale principio della necessità del doppio quorum (teste e millesimi). Ha però precisato che la “maggioranza semplice delle quote millesimali” è riferita agli “intervenuti in assemblea”.

Si ricorda che il legislatore gia' nella formulazione dell'art. 26 comma 2 nel 1991 aveva utilizzato il termine “quote millesimali” in luogo di “valore dell'edificio” così come invece indicato nell'articolo 1136 del codice civile e nella Legge 457/1978 art. 30 co. 2. Il riferimento ai millesimi è stato utilizzato nel codice civile nell'articolo 68 delle disposizioni di attuazione il quale specifica che “I valori dei piani o delle porzioni di piano, ragguagliati a quello dell'intero edificio, devono essere espressi in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio”.

Il verbo “rappresentare” (introdotto con la recente modifica) è invece già stato utilizzato dal legislatore nell'articolo 1136 del codice civile, con la sola differenza che nel codice sono i condomini (1136 co 1 c.c.) o il numero di voti (1136 co 2, 3 e 5 c.c.) o la maggioranza (Legge 457/1978 art. 30 co 2) che rappresentano  il valore dell'edificio (o quote millesimali). Nell'articolo 26 co 2 L. 10/91, invece, sono le quote millesimali che sono rappresentate dagli intervenuti.

Fatte queste piccole precisazioni, entrando nel merito della norma di legge qui in commento, dalla frase “maggioranza semplice delle quote millesimali rappresentate dagli intervenuti in assemblea” intenderei che sono le quote millesimali (e non la maggioranza) ad essere rappresentate dagli intervenuti in assemblea. Se fosse stata la maggioranza ad essere rappresentata dagli intervenuti in assemblea (cosi' come indicato dalla Legge 457 del 1978 all'art. 30 comma 2), la frase sarebbe stata del seguente tenore: “La maggioranza semplice delle quote millesimali rappresentata dagli intervenuti in assemblea”.

In prima convocazione, come è noto, l'articolo 1136 comma 1 del codice civile prevede che l'assemblea è validamente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell'edificio e i due terzi dei partecipanti al condominio. Poichè la nuova formulazione dell'articolo 26 comma 2 L. 10/91 fa riferimento alle sole quote millesimali rappresentate dagli intervenuti all'assemblea e non dai partecipanti al condominio, ne consegue che, in prima convocazione, dovendo essere presenti due terzi del valore dell'edificio, la deliberazione potrà essere validamente assunta qualora favorevoli siano tanti condomini portatori di almeno un terzo più uno dei millesimi, potendo tali quote appartenere anche ad un solo condomino.

Diverso è invece il caso della seconda convocazione in cui il legislatore ha previsto unicamente un quorum deliberativo e non un quorum costitutivo (Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1997, n. 850).
Non essendo quindi previsto un quorum minimo affinchè l'assemblea sia validamente costituita, occorrerà fare unicamente riferimento al quorum necessario per la validità delle deliberazioni (Cassazione Civile, Sezione II, 26 aprile 1994 n 3952).
Viene quindi ora da chiedersi qual è, in seconda convocazione, il quorum necessario per la validità delle deliberazioni  ai sensi dell'articolo 26 comma 2 L. 10/91.
Il legislatore richiede la maggioranza delle quote millesimale ma non indica un minimo.
Inoltre il termine “assemblea” (che prevede la presenza di più persone) ed il plurale del termine “intervenuti”, non avendo il legislatore indicato un numero minimo di partecipanti, farebbero ritenere che debbano essere presenti almeno due condomini.

Poichè, come sopra riferito, il Legislatore fa riferimento alle quote millesimali rappresentate dagli intervenuti, a mio avviso è sufficiente che all'assemblea partecipino almeno due condomini. A questo punto, stante la presenza in assemblea in seconda convocazione di almeno due condomini ed indipendentemente dal valore delle quote millesimali rappresentate, e' valida la deliberazione assunta con la maggioranza dei millesimi degli almeno due presenti. Ne conseguirebbe che, presenti Tizio (mill. 150) e Caio (mill 100), la deliberazione sarebbe valida nel momento in cui abbia votato a favore anche il solo Tizio (portatore della maggioranza delle quote millesimali rappresentate dagli intervenuti in assemblea).

giovedì 4 marzo 2010

MEDIAZIONE CONDOMINIALE

  MEDIAZIONE CONDOMINIALE 
Deflazioniamo il sistema giudiziario italiano e risolveremo il problema della giustizia.
Lo prevede il D. Lgs. approvato dal Consiglio dei Ministri in attuazione delle deleghe previste dalla legge n. 69/2009, per materie riguardanti liti su condominio, locazione, responsabilità medica, contratti bancari finanziari e assicurativi. In tal senso la nuova normativa prevede che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione essenziale di procedibilità della domanda giudiziale. Si precisa che lo svolgimento della mediazione non preclude, in ogni caso, la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari che rimangono, quindi, di competenza, del giudice ordinario.
La mediazione delle controversie civili e commerciali è il nuovo istituto giuridico messo a punto dal ministro della Giustizia Alfano in attuazione di una delle deleghe date al Governo per la riforma del processo civile (L. n. 69/09 art. 60). Novità rilevante è che, una volta entrato a regime il provvedimento, nell’ambito delle materie succitate non si potrà intraprendere una causa, senza aver prima esperito la mediazione finalizzata alla conciliazione. Accanto alla mediazione obbligatoria, trova spazio anche la conciliazione facoltativa, che potrà essere tentata per altro genere di controversie. Durata massima della procedura, 120 giorni.
Lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri e ora all’esame delle commissioni parlamentari competenti, per poi tornare a Palazzo Chigi per il via libera definitivo.
Negli intendimenti la procedura conciliativa si articola in due momenti differenti: nella prima fase, che può definirsi “facilitativa” il mediatore, soggetto professionale e terzo alla vicenda, aiuta le parti a trovare un accordo amichevole. Quando, però, il tentativo finisce con un nulla di fatto, si passa alla seconda fase, c.d. “aggiudicativa” nella quale il mediatore formula, alle parti, per iscritto, una proposta di conciliazione. Le parti faranno pervenire al mediatore, sempre per iscritto e nel termine di 7 giorni, l’accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine di cui sopra, la proposta si ha per rifiutata. In tal caso, l’unica strada sarà percorre l’iter giudiziario avanti al Tribunale, ma se la parte che ha rifiutato comparendo avanti al Tribunale, otterrà lo stesso risultato, anche se vince in giudizio, dovrà accollarsi le spese del processo comprese quelle sostenute dalla controparte. Diversamente, se la mediazione dovesse andare a buon fine, l’accordo sarà omologato dal giudice e diverrà esecutivo.
Resta inteso che, salvo diverso accordo delle parti, le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato o riassunto a seguito dell’insuccesso della mediazione.
Non si avranno più, quindi, le attese snervanti per un giudizio, come siamo abituati dall’iter ordinario, ma tempi brevi e, negli intendimenti, la procedura risulterà economicamente conveniente. Lo scopo di tale istituto, come sostenuto dal Ministro Alfano, è “un capovolgimento del vinco-perdo, classico delle liti in giudizio, con un rapporto in cui entrambe le parti possono ottenere soddisfazione dalla mediazione civile”.
Il mediatore avrà, quindi, il ruolo chiave di professionista con requisiti di terzietà. All’atto della presentazione della domanda di mediazione, verrà designato un mediatore il quale fisserà il primo incontro tra le parti non oltre 15 giorni dal deposito della domanda, dando immediata comunicazione all’altra parte, con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, saranno nominati uno o più mediatori ausiliari. Il procedimento di mediazione si svolgerà senza necessità formali.
Il testo del D. Lgs. sulla mediazione e conciliazione delle controversie, attuativo della legge 69/09, prevede anche incentivi e sanzioni per incentivare le parti ad accordarsi: esenzioni dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura; riduzioni dell’imposta del Registro (il verbale di accordo sarà esente da tale imposta entro il limite di valore di euro 51.646,00); sanzioni rappresentate dalla condanna a pagare le spese di giudizio per il rifiuto di una proposta congrua di accordo.

mercoledì 3 marzo 2010

Amministratori di condominio sentinelle contro la criminalità

Amministratori di condominio sentinelle contro la criminalità



Un’ordinanza sarà pronta entro un paio di settimane. Il sindaco obbligherà i proprietari a depositare al comando dei vigili i contratti di affitto o di comodato d’uso. Chi si astiene rischia una multa da 500 euro. Anche per motivi di gestione, si partirà dalle zone calde e in cima all’agenda c’è via Padova. La seconda è allo studio: punta a trasformare gli amministratori di condominio in sentinelle - o spie a seconda delle interpretazioni - che sempre al costo di 500 euro (se il Comune scopre che sapevano, e non hanno parlato) dovranno segnalare «situazioni anomale». Contratti in nero, centri massaggi che offrono tutt’altre prestazioni, alloggi affittati a clandestini o a troppi inquilini. La prima, ha spiegato ieri Letizia Moratti, nasce da «una mozione avanzata dal Pd e che abbiamo portato al tavolo in questura. Un’ordinanza possibile grazie ai nuovi poteri assegnati ai sindaci dal decreto sicurezza di Maroni». La seconda è proposta dal vicesindaco Riccardo De Corato, «per facilitare i controlli di polizia ma anche della Guardia di finanza». Già con il registro dei contratti d’affitto in Comune «potremo sapere esattamente chi c’è dentro, verificare se sono regolari e fare controlli a colpo sicuro». La mozione presentata dalla consigliera Carmela Rozza del Pd chiedeva di istituire un apposito ufficio che si interfacci con i registri dell’anagrafe, del catasto e della questura: «Incrociando i dati è più facile perseguire chi trasgredisce - ammette - e denunciare alla Guardia di finanza o alla questura. Se il sindaco l’ha accolta evidentemente ha capito che abbiamo le idee più chiare del Pdl su cosa serve per la sicurezza». Sul piede di guerra invece il presidente di Assoedilizia Achille Colombo Clerici: «Amministratori spia? C’è il rischio di esercitare male questo dovere andando incontro a querele, ed è un compito di polizia che non spetta per legge ai privati».
Anche sugli immobili che oggi in base al decreto Maroni possono essere confiscati solo quando si riesca a provare l’ingiusto profitto, il sindaco punta a introdurre sanzioni intermedie («ma significative») più facili da controllare, come «l’omessa vigilanza a carico di proprietari o amministratori». E per evitare il proliferare di kebab, centri massaggi (in via Padova se ne contano oltre 120) o parrucchieri cinesi il Comune, compatibilmente con la legge Bersani, potrebbe imporre restrizioni quando ci sono dei cambi d’uso. Al ministro dell’Interno Maroni chiederà modifiche alle norme per accelerare le espulsioni dei clandestini e «più poteri di intervento alle forze dell’ordine per entrare negli alloggi se c’è motivo di credere che sono in atto reati di immigrazione clandestina». Accanto al sindaco, il presidente della Provincia Guido Podestà nella veste (soprattutto) in questo caso di coordinatore regionale del Pdl. Ha «condiviso le proposte della Moratti» e attaccato la Lega che aveva chiesto «rastrellamenti» in via Padova: «Le “isole etniche” esistono in tutte le grandi città europee, bisogna distinguere tra chi viene qui a lavorare nel rispetto delle leggi e chi le calpesta, senza fare di tutte le erbe un fascio. È facilissimo fare speculazioni mediatiche ma è un “andazzo” che rifiuto»

giovedì 18 febbraio 2010

DISSENSO DEI CONDOMINI RISPETTO ALLE LITI


Dissenso litiNell’ambito di un condominio, tanto che si parli di liti attive, tanto che si faccia riferimento a liti passive, può accadere che non tutti i comproprietari si trovino d’accordo sulla necessità d’iniziare una causa o di resistervi.
Si occupa della vicenda l’art. 1132 c.c., rubricato per l’appunto Dissenso dei condomini rispetto alle liti.
L’articolo in questione si compone di tre commi che recitano:
Qualora l’assemblea dei condomini abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere a una domanda, il condomino dissenziente, con atto notificato all’amministratore, può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza. L’atto deve essere notificato entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione.
Il condomino dissenziente ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa.
Se l’esito della lite è stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente.
Una premessa è obbligatoria: il campo di applicazione dell’articolo in esame è limitato alle liti che rientrano nell’ambito delle competenze dell’assemblea.
In sostanza il condomino non può dissociarsi da quelle azioni che mirano al recuperare il credito dal condomino moroso.
Cerchiamo, allora, con l’ausilio di un esempio pratico, di capire meglio come si applica la norma e, di conseguenza, cosa debba fare chi non vuole partecipare ad una controversia.
Poniamo il caso che sorgano contestazioni circa l’effettuazione di alcuni lavori di ristrutturazione.
Non riuscendo a risolvere la questione bonariamente è necessario prendere una decisione sul da farsi.
Dissenso litiL’amministratore convoca l’assemblea che, con le maggioranze previste dalla legge (art. 1136, quarto comma, c.c. ossia maggioranza degli intervenuti all’assemblea che rappresentino almeno 500 millesimi), decide di agire in giudizio.
Non tutti i condomini sono d’accordo con tale scelta e decidono di non aderire all’iniziativa giudiziaria contro l’impresa appalatrice.
Il loro dissenso, quindi, potrà essere espresso tramite una comunicazione da notificare all’amministratore entro 30 giorni dalla decisione di resistere in giudizio.
Per gli assenti questo termine decorre dalla comunicazione dello svolgimento dell’assemblea.
Dei dubbi sono stati sollevati in relazione al significato da dare al termine notificare.
Alcune sentenze ritengono che con tale parola si sia inteso indicare la notifica fatta a mezzo di ufficiale giudiziario.
Altre tesi propendono per un’interpretazione più ampia del vocabolo, affermando che s’intenda più semplicemente portare a conoscenza in modo certo, tanto da ritenere sufficiente la comunicazione fatta in assemblea.
Una volta fatto ciò il dissenziente rispetto alle liti, laddove sia costretto a pagare una somma alla controparte, avrà diritto di rivalsa nei confronti del condominio (art. 1132, secondo comma, c.c.).
Inoltre, egli beneficerà degli effetti positivi nel caso di vittoria di una controversia (si pensi alla sentenza che impone all’impresa di completare un’opera ecc.) e sarà tenuto a contribuire alle spese legali solo se non sia stato possibile recuperarle dalla controparte (ad esempio perché al termine del giudizio si è avuta una compensazione delle spese o perché la controparte non è solvibile, art. 1132, terzo comma, c.c.).

venerdì 8 gennaio 2010

Sempre piu’ condomini sono morosi


Immagine a corredo dell'articolo - Sempre piu’ condomini sono morosi - miaeconomia.leonardo.it (07/01/2010)

La crisi nel 2009 c’e’ stata, si e’ sentita e si e’ toccata con mano. Anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo discorso di fine anno, ha concentrato l’attenzione sulle emergenze che hanno caratterizzato l’Italia dopo lo tsunami che si e’ abbatto sulle economie mondiali. “Un Paese in credito di solidarieta’, a un passo dall’allarme sociale” che fa sempre piu’ fatica ad arrivare persino alla terza settimana.
Cosi’, anche se ormai, a detta di esperti ed economisti, siamo alla fine del tunnel i conti che si fanno sui bilanci di fine anno sono in profondo rosso. A partire da quello delle famiglie che, dopo aver tagliato il superfluo, hanno utilizzato le cesoie anche per le spese di condominio che inquilini e padroni di casa sempre piu’ spesso non pagano.
“Da quello che rileviamo dalla nostra rete sul territorio, la morosita’ congenita che di solito si aggira fra il 10-15% per condominio da meta’ 2008 sta aumentando e ora sfiora il 20%”, ha spiegato Umberto Anitori, segretario nazionale Anaci (ovvero l’associazione degli amministratori di condominio).
“Quello che ci viene segnalato come sintomo piu’ evidente - ha sottolineato Anitori - e’ che mentre precedentemente l’incasso della quota mensile avveniva immediatamente, ovvero se la rata scadeva il 5 entro il 10 c’era un incasso pari al 60% dell’importo globale, oggi questo si e’ notevolmente abbassato ed e’ difficile arrivare al 35-40%. Il 60% della riscossione si riesce a raggiungere solo entro la fine del mese”.
Casi emblematici si trovano sparsi per tutto lo Stivale, con punte elevate nelle grandi citta’ come Roma o Milano dove attualmente, secondo i dati della magistratura, i decreti ingiuntivi per spese non pagate sono non meno di 3mila.
Il ricorso al giudice e’ infatti obbligatorio per legge, come chiarisce l’art. 1130 del codice civile secondo cui gli amministratori sono tenuti a riscuotere i contributi e a erogare le spese per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e l’esercizio dei servizi comuni. E, qualora non riuscissero a incassare in tempo utile, possono procedere per via giudiziaria nei confronti del singolo condomino.
Una decisione che passa per la messa in mora e per l’ottenimento del decreto ingiuntivo dal giudice di pace che porta al pignoramento dell’immobile.
E, sempre piu’ spesso, per evitare che si giunga ad una situazione simile, l’amministratore e l’assemblea di condominio decidono di mettersi d’accordo per concedere una dilazione di pagamento, soprattutto se si tratta, come in questo periodo, di difficolta’ economiche contingenti.
Anche perche’, va ricordato che, in base alla sentenza 9148 dello scorso marzo, la Cassazione ha stabilito che la responsabilita’ dei singoli condomini per le obbligazioni assunte dal condominio verso terzi non ha natura solidale. Cosi’, chi risulta sempre regolare con i pagamenti condominiali non rischia piu’ nulla se c’e’ qualcuno che fa il furbo e non paga. Infatti, in caso di morosita’ nei confronti di fornitori, solo il debitore rischia il pignoramento e deve pagare tutte le eventuali spese aggiuntive.