venerdì 16 settembre 2011

CERTIFICAZIONE ENERGETICA

 
 Le novità del D.lgs. n.28

Torna l’obbligo di allegare il certificato energetico ai contratti di compravendita o locazione. Lo ha stabilito il Dlgs 3 marzo 2011, n. 28, entrato in vigore martedì 29 marzo. Con questo provvedimento, che stabilisce anche importanti norme sul ricorso alle energie alternative, sono modificate parzialmente modificate alcune previsioni del decreto legislativo 192/05 in merito alla certificazione energetica, con l’introduzione anticipata di alcuni obblighi previsti dalla nuova direttiva europea in materia, la n. 31 del 2010.

Nello specifico il decreto, per quel che riguarda la certificazione energetica, stabilisce quanto segue:

Certificato energetico nei rogiti. Il nuovo comma 2-ter prevede l'inserimento, nei contratti di compravendita o di locazione di singole unità immobiliari, di “apposita clausola con la quale l'acquirente o il conduttore danno atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine alla certificazione energetica degli edifici”.

Per i contratti di locazione, tuttavia, la disposizione si applica solo se gli edifici o i singoli enti immobiliari sono già dotati dell'Attestato di Certificazione Energetica - ACE (trattasi di immobili oggetto di recente costruzione o compravendita o di interventi per i quali si è usufruito delle detrazioni fiscali del 55%).

Indice di prestazione energetica negli annunci immobiliari. Il comma 2-quater dispone invece che a decorrere dal 1° gennaio 2012 gli annunci commerciali di vendita di edifici o singole unità immobiliari riportino l'indice di prestazione energetica contenuto nell'ACE.

Competenze di Regioni e Stato. In una nota pubblicata nei giorni scorsi, il Consiglio nazionale del Notariato ha chiarito che alle Regioni competono le scelte normative sulla “dotazione” e sulle modalità di formazione della certificazione energetica. Allo Stato è invece riservata la materia dell’ordinamento civile, e quindi la disciplina dei contratti, della loro forma, del loro contenuto, dei vizi, delle sanzioni.

Le Regioni senza una disciplina propria. Con la nuova disposizione l'obbligo di dotazione con l'Attestato di certificazione energetica (Ace), così come l'inserimento dell'apposita clausola nel contratto di compravendita o di locazione, diventano inderogabili per le compravendite di immobili situati nelle Regioni che non hanno emanato una propria normativa in materia di certificazione energetica. Tuttavia, per Regioni che non hanno una disciplina propria in tema di certificazione energetica, resta valido l'articolo 9 dell'allegato "A" al Dm 26 giugno 2009, il quale stabilisce che il proprietario dell'edificio, consapevole della scadente qualità energetica dell'immobile, può scegliere di ottemperare agli obblighi di legge attraverso una sua dichiarazione in cui afferma che l'edificio è di classe energetica G e che i costi per la gestione energetica dell'edificio sono molto alti.

Le Regioni con una propria disciplina. Continua invece ad applicarsi la legislazione regionale per quelle Regioni che hanno emanato una normativa in materia di certificazione energetica, ma con l'aggiunta che i contratti di compravendita andranno integrati con la clausola mediante la quale l'acquirente dà atto “di aver ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine alla certificazione energetica” dell'immobile.

Sanzioni. Secondo il Notariato, infine, il mancato inserimento della clausola di attestazione da parte dell'acquirente o del conduttore non provoca la nullità del contratto, ma comporta comunque problemi di responsabilità per i venditori e i professionisti.

USUFRUTTO IN CONDOMINIO

 
 L'usufrutto è un diritto reale di godimento che attribuisce al Suo titolare una serie di facoltà inerenti al godimento di una cosa specificatamente identificata. In particolare tale diritto attribuisce al suo titolare la facoltà di godere della cosa (mobile o immobile) e di fare propri i frutti naturali e civili, secondo il disposto dell'art. 981, I° co. e 984, II° co., c.c.)

In particolare "Sono frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l'opera dell'uomo, come i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali, i prodotti delle miniere, cave e torbiere. Finché non avviene la separazione, i frutti formano parte della cosa. Si può tuttavia disporre di essi come di cosa mobile futura. Sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali (1224, 1282, 1815), i canoni enfiteutici (957 e seguenti), le rendite vitalizie (1872 e seguenti) e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni (1571 e seguenti)" ai sensi dell'art. 820 c.c.

Da qualche tempo, con sempre maggiore frequenza, si verifica, in condominio, l'acquisto della nuda proprietà con riserva del diritto di usufrutto a favore del venditore.

II venditore, specie se anziano, ottiene un consistente ricavo dalla vendita della nuda proprietà, senza dover lasciare l'immobile al quale e comunque legato da un valore affettivo. Il valore del bene si determina decurtando dal valore della piena proprietà il valore dell'usufrutto, il cui ammontare e inversamente proporzionale all'età del venditore: maggiore è l'età del venditore, minore e il valore del suo diritto di usufrutto, ma più alto e il valore della nuda proprietà che si vuole trasferire, e quindi maggiore la convenienza per il venditore. Quanto alla durata dell'usufrutto, è opportuno distinguere la persona fisica, da quella giuridica.

Diritti dell'usufruttuario sono quelli di godere del bene e dei suoi frutti, ma deve rispettare la destinazione economica del bene; può locare l'immobile a terzi, se non e vietato dal titolo costitutivo del diritto, e percepire il canone. In tale ipotesi sarebbe opportuno consentire al nudo proprietario, salvo espressa pattuizione contrattuale,di esercitare la prelazione in caso di locazione.

E' prassi sostituire, per tale motivo, il diritto in commento con quello di abitazione che, a differenza del diritto di usufrutto, consente soltanto al beneficiario di tale diritto di abitare una casa limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia (art. 1022 c.c.). Tale diritto e preferito dall'acquirente in quanto, diversamente dal l'usufrutto, il diritto di abitazione non può essere ceduto, ne l'immobile concesso in locazione a terzi.

In certi casi , quindi, se in presenza di usufrutto, l'amministratore di condominio, in merito ad una specifica unità immobiliare, avrà a che fare sia con il nudo proprietario che con l'usufruttuario: nella normativa sul Condominio negli edifici non è prevista una disciplina per la ripartizione delle spese condominiali tra il nudo proprietario e l' usufruttuario di una delle diverse proprietà esclusiva nello stabile. Tale circostanza ha stimolato dottrina e giurisprudenza che, pertanto, si sono a lungo argomentate sulla posizioni dell' usufruttuario rispetto all' amministrazione condominiale, ed al recupero delle quote di spesa, costituendosi e contrapponendosi due distinti orientamenti.

Se in un primo tempo una corrente di pensiero ha negato l' esistenza di un obbligo di contribuzione diretto dell' usufruttuario nei confronti del Condominio, sul presupposto che, le spese condominiali debbano gravare unicamente sul proprietario, identificato nel nudo proprietario, con la conseguenza che, egli sarà legittimato ad agire in via di regresso nei confronti dell' usufruttuario per le spese di sua competenza, la situazione è stata, però, ribaltata dalla giurisprudenza della S.C. di Cassazione, la quale ha, viceversa, proclamato la "rilevanza esterna", nell' ambito dei rapporti di condominio, della posizione del nudo proprietario e dell' usufruttuario della porzione immobiliare.

In tal senso, si è affermato che "quando la porzione immobiliare facente parte di un Condominio è oggetto del diritto di usufrutto, l'atto dal quale deriva tale situazione, è opponibile erga omnes, e quindi anche al Condominio, il quale è tenuto ad osservare le norme dettate dagli art. 1004 e 1005 c.c. sulle ripartizione delle spese fra nudo proprietario ed usufruttuario, tenuto conto che, sul pagamento degli oneri condominiali che costituiscono un obbligazione propter rem, la qualità di debitore dipende dalla titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale sulla cosa; poiché anche le spese dovute dall' usufruttuario si configurano come obbligazioni propter rem, non è consentito all' assemblea interferire sull' imputazione e sulla ripartizione dei contributi". (Cass. n. 23291/2006 e, di recente, n. 21774/2008).

Pertanto, se detto obbligo non grava sul condominio in caso di locazione, in presenza di usufrutto l'assemblea all' approvazione del bilancio, deve ripartire le spese secondo la loro funzione ed il loro fondamento, spettando all' amministratore di condominio, al momento dell' esecuzione, ascrivere i contributi secondo la loro natura ai soggetti obbligati, anche nel caso in cui l' assemblea non li abbia individuati.

A tal riguardo, l'art. 67, comma 3°, disp. att. c.c., riconosce espressamente all'usufruttuario il diritto di voto "negli affari che attengono all'ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni".

Invece, ai sensi dell'art. 67, comma 4°, disp. att. c.c., "nelle deliberazioni che riguardano innovazioni, ricostruzioni od opere di manutenzione straordinaria delle parti comuni dell'edificio il diritto di voto spetta al proprietario".

La giurisprudenza (vedi Cass. 5/11/1990, n. 10611 e Tribunale Napoli 10/12/1978), in merito proprio alla convocazione, espressamente delinea che per gli affari attinenti all'ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni, come ad esempio la nomina e il compenso dell'amministratore, la ripartizione delle spese di portierato ecc., debba essere convocato l'usufruttuario, il quale non può dare il suo voto nelle materie riservate al nudo proprietario; invece, qualora si deliberi su innovazioni, ricostruzioni od opere di manutenzione straordinaria delle parti comuni dell'edificio, la giurisprudenza de qua ritiene debba essere convocato il nudo proprietario.

In giurisprudenza si è chiarito che tali disposizioni non contrastano con gli artt. 1004 e 1005 c.c., i quali regolano il riparto delle spese tra usufruttuario e nudo proprietario, precisando, in particolare, che la straordinarietà delle opere il cui costo deve essere sopportato dal nudo proprietario non dipende dalla circostanza che esse siano destinate a prevenire il danno ovvero a porvi rimedio dopo la sua verificazione, bensì dalla capacità di esse di incidere sulla struttura e funzionalità del bene (Cass. n. 10/69).

L'art. 1105, II° co., c.c., secondo il quale le riparazioni straordinarie sono quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta, non è da ritenersi esaustiva, ma solo esemplificativa. Più in generale, tutte le riparazioni straordinarie restano a carico del nudo proprietario in quanto trattasi di opere che rimediano ad una alterazione già verificatasi in conseguenza dell'uso o per altre cause. Spettando all'usufruttuario l'uso della cosa, questi dovrà sostenerne i soli costi per la conservazione della funzionalità del bene.

In conclusione, alla luce della normativa codicistica e della giurisprudenza suesposte, in caso di morosità, l'amministratore dovrà agire singolarmente nei confronti dell'uno o dell'altro, poiché non esiste alcuna norma di legge che pone un'obbligazione solidale tra il nudo proprietario e l'usufruttuario in merito al pagamento degli oneri condominiali, dovendosi, infatti, sempre distinguere le imputazioni di spese; per quanto attiene alla convocazione, l'amministratore sarà tenuto a convocare alle assemblee condominiali oltre che il proprietario anche l'usufruttuario ogni qualvolta si debba decidere di affari di ordinaria manutenzione, mentre sarà tenuto a convocare il nudo proprietario qualora si debba deliberare sulle innovazioni e sulle opere di manutenzione straordinaria.

BARRIERE ARCHITETTONICHE



La materia dell'eliminazione delle barriere architettoniche è disciplinata dalla legge 9/1/1989, n. 13, intitolata "Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati".

L'espressione "barriere architettoniche" è utilizzata frequentemente nel linguaggio quotidiano,

spesso come sinonimo di ostacolo, impedimento. La definizione sintetica è riportata all'art. 2 lettera A del D.M. 236/89, in cui leggiamo: "Per barriere architettoniche si intendono:

a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea;

b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti;

c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi".

Ecco alcuni esempi classici di barriere architettoniche: scalini, rampe con pendenze eccessive, porte strette, rialzi, marciapiedi stretti, spazi ridotti, ascensori piccoli.

Oltre a questi casi così evidenti esistono anche altri tipi di barriere architettoniche, purtroppo a volte invisibili ai pienamente abili come: finestre, banconi da bar, parapetti troppo alti che impediscono la visibilità ad esempio ad invalidi in carrozzella, sentieri di ghiaia, marciapiedi senza sufficiente spazio per la salita e discesa.

L'art. 2 comma 1° della legge 9/1/1989, n. 13, con riferimento alle deliberazioni assembleari che hanno per oggetto le innovazioni volte ad eliminare le barriere architettoniche, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e l'installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi negli edifici privati, al fine esclusivo proprio di agevolare i portatori di handicap, prevede testualmente la possibilità per l'assemblea di approvare le innovazioni preordinate a tale scopo con le maggioranze indicate nell'art. 1136 comma 2° e 3° c.c. , in deroga all'art. 1120 comma 1° c.c., che richiama il comma 5° dell'art. 1136 c.c. .

Pertanto, le predette innovazioni possono essere approvate con un "quorum" più basso fra quelli previsti dal codice civile per tutte le innovazioni. Peraltro, in caso di approvazione la relativa spesa potrà essere legittimamente ripartita tra tutti i condomini o quelli della scala interessata all'intervento, a seconda di come è strutturato l'edificio.

Qualora il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta scritta, le deliberazioni di cui sopra, il portatore di handicap o chi esercita su di lui la potestà o la tutela può installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili. E', inoltre, possibile modificare l'ampiezza delle porte di accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe delle autorimesse. Questo tipo d'intervento può anche essere autorizzato dal giudice con provvedimento di urgenza.

La legge sull’edilizia privata consente, quindi, di sollecitare l’eliminazione delle barriere architettoniche mediante apposita richiesta presentata dal soggetto interessato all’amministratore di condominio.

Tutto ciò al fine di meglio agevolare la fruizione dei servizi condominiali e delle parti comuni da parte non solo, quindi, dei condomini anziani o portatori di handicap, ma anche di coloro che, pur versando nelle medesime condizioni siano amici, conoscenti, parenti o utenti dei singoli condomini.

Il richiedente, tuttavia, non ha alcun potere di imporre al condominio l’esecuzione di particolari opere, ma può solo pretendere, in caso di opposizione da parte dell’assemblea, di eseguirle a spese proprie.

Nel caso in cui l’assemblea addirittura vieti al condomino di eseguire gli interventi, non resta che ricorrere all’autorità giudiziaria affinché, valutatane la necessità e ricorrendone i presupposti, emetta gli opportuni provvedimenti per rendere più accessibile l’edificio condominiale.

La Cassazione, in merito a tale questione, delinea espressamente che le suddette opere, per la cui realizzazione è prevista una deroga in materia di distanze legali, non possono però recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, né possono alterarne il decoro architettonico o renderne talune parti comuni inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino. A maggior ragione l'assemblea non può, a maggioranza, ledere i diritti dei condomini sulle parti di edificio di proprietà esclusiva, come nel caso in cui deliberasse l'installazione di un ascensore per favorire un disabile, determinando però sensibile deprezzamento dell'unità immobiliare di un altro condomino (Vedi Cass. 25/6/1994, n. 6109, Corte app. civ. Napoli, sez. II, 1994 n. 3074).

Nell'ipotesi in cui le opere siano state realizzate a cura e spese del portatore di handicap, i condomini e i loro eredi o aventi causa (per es. chi dovesse acquistare da uno di essi) possono, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell'innovazione, contribuendo alle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera, come delinea l'art. 1121 comma 3° c.c., espressamente richiamato dall'art. 2 comma 3° della legge 9/1/1989, n. 13.

La giurisprudenza nel corso degli anni, è intervenuta con molte pronunce così estendendo l'ambito di applicazione delle predetta legge.

In particolare, la legge di cui sopra è stata infatti ritenuta applicabile anche nell'ipotesi in cui non vi era la presenza nell'edificio interessato di portatori di handicap, o in presenza di persone anziane o anche invalidi civili non portatori di handicap; il ragionamento di tale filone giurisprudenziale si fonda sull'assunto che la ratio era proprio quella di consentire la "visitabilità" degli edifici medesimi da parte di tutti coloro che hanno occasione di accedervi e che i portatori di handicap possono avere relazioni con l'immobile anche di natura diversa dalla proprietà.

Le relazioni a cui fa riferimento la giurisprudenza richiamata possono consistere ad esempio in un rapporto di locazione, di parentela, abituale frequentazione ecc. (in tal senso Trib. civ. Milano 1993 n. 4466)

Di conseguenza, la natura del rapporto richiamato dalla giurisprudenza è inteso in senso molto ampio.

Sulla stessa linea argomentativa, la giurisprudenza ha ritenuto la normativa sull'abbattimento delle barriere architettoniche applicabile non solo ai soggetti che presentino difficoltà di deambulazione, ma anche ai soggetti ultrasessantacinquenni che, pur non essendo affetti da menomazioni motorie, abbiano ad esempio difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età (Trib. Civ. Napoli 1994 n. 2606), o che si trovino in minorate condizioni fisiche ( Pret. Civ. Roma 15 maggio 1996).

Infine, la giurisprudenza delinea ulteriormente che la normativa sull'abbattimento delle barriere architettoniche è applicabile anche riguardo alle necessità di un invalido civile e non solo di un portatore di handicap.