venerdì 16 settembre 2011

BARRIERE ARCHITETTONICHE



La materia dell'eliminazione delle barriere architettoniche è disciplinata dalla legge 9/1/1989, n. 13, intitolata "Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati".

L'espressione "barriere architettoniche" è utilizzata frequentemente nel linguaggio quotidiano,

spesso come sinonimo di ostacolo, impedimento. La definizione sintetica è riportata all'art. 2 lettera A del D.M. 236/89, in cui leggiamo: "Per barriere architettoniche si intendono:

a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea;

b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti;

c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi".

Ecco alcuni esempi classici di barriere architettoniche: scalini, rampe con pendenze eccessive, porte strette, rialzi, marciapiedi stretti, spazi ridotti, ascensori piccoli.

Oltre a questi casi così evidenti esistono anche altri tipi di barriere architettoniche, purtroppo a volte invisibili ai pienamente abili come: finestre, banconi da bar, parapetti troppo alti che impediscono la visibilità ad esempio ad invalidi in carrozzella, sentieri di ghiaia, marciapiedi senza sufficiente spazio per la salita e discesa.

L'art. 2 comma 1° della legge 9/1/1989, n. 13, con riferimento alle deliberazioni assembleari che hanno per oggetto le innovazioni volte ad eliminare le barriere architettoniche, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e l'installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi negli edifici privati, al fine esclusivo proprio di agevolare i portatori di handicap, prevede testualmente la possibilità per l'assemblea di approvare le innovazioni preordinate a tale scopo con le maggioranze indicate nell'art. 1136 comma 2° e 3° c.c. , in deroga all'art. 1120 comma 1° c.c., che richiama il comma 5° dell'art. 1136 c.c. .

Pertanto, le predette innovazioni possono essere approvate con un "quorum" più basso fra quelli previsti dal codice civile per tutte le innovazioni. Peraltro, in caso di approvazione la relativa spesa potrà essere legittimamente ripartita tra tutti i condomini o quelli della scala interessata all'intervento, a seconda di come è strutturato l'edificio.

Qualora il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta scritta, le deliberazioni di cui sopra, il portatore di handicap o chi esercita su di lui la potestà o la tutela può installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili. E', inoltre, possibile modificare l'ampiezza delle porte di accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe delle autorimesse. Questo tipo d'intervento può anche essere autorizzato dal giudice con provvedimento di urgenza.

La legge sull’edilizia privata consente, quindi, di sollecitare l’eliminazione delle barriere architettoniche mediante apposita richiesta presentata dal soggetto interessato all’amministratore di condominio.

Tutto ciò al fine di meglio agevolare la fruizione dei servizi condominiali e delle parti comuni da parte non solo, quindi, dei condomini anziani o portatori di handicap, ma anche di coloro che, pur versando nelle medesime condizioni siano amici, conoscenti, parenti o utenti dei singoli condomini.

Il richiedente, tuttavia, non ha alcun potere di imporre al condominio l’esecuzione di particolari opere, ma può solo pretendere, in caso di opposizione da parte dell’assemblea, di eseguirle a spese proprie.

Nel caso in cui l’assemblea addirittura vieti al condomino di eseguire gli interventi, non resta che ricorrere all’autorità giudiziaria affinché, valutatane la necessità e ricorrendone i presupposti, emetta gli opportuni provvedimenti per rendere più accessibile l’edificio condominiale.

La Cassazione, in merito a tale questione, delinea espressamente che le suddette opere, per la cui realizzazione è prevista una deroga in materia di distanze legali, non possono però recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, né possono alterarne il decoro architettonico o renderne talune parti comuni inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino. A maggior ragione l'assemblea non può, a maggioranza, ledere i diritti dei condomini sulle parti di edificio di proprietà esclusiva, come nel caso in cui deliberasse l'installazione di un ascensore per favorire un disabile, determinando però sensibile deprezzamento dell'unità immobiliare di un altro condomino (Vedi Cass. 25/6/1994, n. 6109, Corte app. civ. Napoli, sez. II, 1994 n. 3074).

Nell'ipotesi in cui le opere siano state realizzate a cura e spese del portatore di handicap, i condomini e i loro eredi o aventi causa (per es. chi dovesse acquistare da uno di essi) possono, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell'innovazione, contribuendo alle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera, come delinea l'art. 1121 comma 3° c.c., espressamente richiamato dall'art. 2 comma 3° della legge 9/1/1989, n. 13.

La giurisprudenza nel corso degli anni, è intervenuta con molte pronunce così estendendo l'ambito di applicazione delle predetta legge.

In particolare, la legge di cui sopra è stata infatti ritenuta applicabile anche nell'ipotesi in cui non vi era la presenza nell'edificio interessato di portatori di handicap, o in presenza di persone anziane o anche invalidi civili non portatori di handicap; il ragionamento di tale filone giurisprudenziale si fonda sull'assunto che la ratio era proprio quella di consentire la "visitabilità" degli edifici medesimi da parte di tutti coloro che hanno occasione di accedervi e che i portatori di handicap possono avere relazioni con l'immobile anche di natura diversa dalla proprietà.

Le relazioni a cui fa riferimento la giurisprudenza richiamata possono consistere ad esempio in un rapporto di locazione, di parentela, abituale frequentazione ecc. (in tal senso Trib. civ. Milano 1993 n. 4466)

Di conseguenza, la natura del rapporto richiamato dalla giurisprudenza è inteso in senso molto ampio.

Sulla stessa linea argomentativa, la giurisprudenza ha ritenuto la normativa sull'abbattimento delle barriere architettoniche applicabile non solo ai soggetti che presentino difficoltà di deambulazione, ma anche ai soggetti ultrasessantacinquenni che, pur non essendo affetti da menomazioni motorie, abbiano ad esempio difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età (Trib. Civ. Napoli 1994 n. 2606), o che si trovino in minorate condizioni fisiche ( Pret. Civ. Roma 15 maggio 1996).

Infine, la giurisprudenza delinea ulteriormente che la normativa sull'abbattimento delle barriere architettoniche è applicabile anche riguardo alle necessità di un invalido civile e non solo di un portatore di handicap.

Nessun commento: